In occasione della giornata della memoria voglio regalarvi la storia di una donna speciale, una poetessa di nome Ilse Weber, prigioniera nel ghetto di Theresiendtadt.
Ilse Herlinger Weber, nata a Wikowitz in Cecoslovacchia, autrice affermata di letteratura per
bambini e programmi radiofonici ( fiabe trasmesse alla radio), aveva 39 anni quando fu deportata a
Theresienstadt nel 1942. Fu lei stessa a chiedere di potersi occupare dei bambini malati rinchiusi in
quel campo; in ognuno di loro vedeva i suoi due figli, Hanuš, mandato a soli otto anni in Svezia, in
salvo presso la sua più cara amica e Tomáš, più piccolo, costretto a
condividere l’amara sorte dei suoi genitori.
Molte delle sue composizioni, cariche di struggente nostalgia, sono dedicate a Hanuš; altre ai
bambini di Theresienstadt; altre ancora rappresentano ciò che provava, vedeva e viveva
all’interno di quel quotidiano inferno.
150.000 furono gli ebrei adulti deportati a Theresienstadt. Questi organizzarono per i piccoli una
scuola clandestina, dove i bambini potevano disegnare, scrivere e persino recitare. 15.000 furono
i bambini e neonati ebrei deportati a Theresienstadt. Dopo la guerra ne ritornarono solo un
centinaio e nessuno di loro aveva meno di quattordici anni.
Questi bambini ci hanno lasciato in eredità circa 4.000 disegni e 60 poesie conservate nel Museo
Ebraico di Praga, testimonianze fotografiche, di ciò che vivevano
ogni giorno all’interno del Lager.
Al capolinea del treno su cui Ilse era salita volontariamente per non abbandonare i suoi
bambini malati, arrivata ad Auschwitz, pienamente consapevole della sorte che l’attendeva, fu
riconosciuta da un detenuto che era stato deportato con lei a Theresienstadt; lui la vide che cercava
di consolare i suoi bambini messi in fila davanti alle docce e le si avvicinò, mentre le sentinelle
erano lontane. Ilse chiese:
“È vero che possiamo fare la doccia dopo il viaggio?”. Egli non volle mentirle e rispose:
”No, questa non è una doccia, è una camera a gas e ora ti do un consiglio. Ti ho spesso
sentito cantare nell’infermeria. Entra con i bambini cantando nella camera a gas il più in
fretta possibile. Siediti con i bambini per terra e continua a cantare. Canta con loro ciò che hai
sempre cantato. Così inalerete il gas più velocemente, altrimenti verrete uccisi dagli altri
quando scoppierà il panico”.
La reazione di Ilse fu strana. Rise, come assente, abbracciò uno dei suoi bambini e disse:
“Allora non faremo la doccia”.
La canzone che cantò insieme a suo figlio Tommy e agli altri bambini quel 6 ottobre 1944 entrando
nelle docce di Auschwitz fu una sua ninna nanna: “Wiegala”. Da quel giorno, questa ninna nanna fu
cantata da altri bambini prima che entrassero nei gas di Auschwitz e rimase nella memoria dei
sopravvissuti come simbolo del massacro degli innocenti.
Willi Weber, marito di Ilse, detenuto nello stesso campo e destinato ad
Auschwitz, prima di partire nascose sotto terra in tutta fretta, nel capanno degli attrezzi, più di
sessanta fra poesie e canti che la moglie Ilse aveva composto nei due anni di internamento a
Theresienstadt. Queste composizioni testimoniano le innumerevoli tragedie di tanti bambini e
anziani che si sono consumate in quel campo di concentramento.
Willi, scampato all'olocausto,probabilmente si è salvato perché la sorte lo aveva destinato a tornare a
Theresienstadt per scavare tra le macerie del capanno e riportare alla luce e a noi le parole, i versi e
gli spartiti musicali che la moglie aveva composto durante i due anni di internamento.
Quelle poesie sono ora diventate patrimonio comune dell’umanità. Erano parole di conforto e
di speranza per i detenuti che le imparavano a memoria e vi si aggrappavano; luce nel buio
profondo di quel Lager che la storia ricorderà come il Lager dei bambini. Sono ninne nanne,
filastrocche, versi nati nelle notti insonni che Ilse passava in infermeria accanto ai piccoli malati,
dopo le lunghe giornate trascorse ad accudirli con lo stesso amore che avrebbero avuto le loro madri
se fossero state con loro.
Piccola ninna nanna
La notte s’insinua pian piano nel ghetto
nera e muta.
Prendi sonno, scorda il mondo tutt’intorno.
Abbandona al mio braccio il tuo capo piccino,
si dorme di gusto e al caldo con la mamma vicino.
Dormi, di notte tanto può avvenire,
di notte tutto l’affanno può svanire.
Figlio mio, vedrai:
un giorno, al tuo risveglio, la pace troverai.
Cammino vagando per Theresienstadt
Cammino vagando per Theresienstadt,
greve il cuore come piombo,
finché brusco il mio tracciato termina,
là accanto al bastione.
Là, ferma sul ponte,
rivolgo lo sguardo alla vallata:
quanto vorrei proseguire,
quanto vorrei andare ‘a casa’!
‘A casa’ – tu meravigliosa parola,
tu mi gravi nel petto,
me l’hanno portata via la mia casa,
non ne ho più una ora.
Mi volto affranta ed esausta,
quanto affanno in quel gesto,
Theresienstadt, Theresienstadt
– ma quando avrà fine il dolore? –
quando saremo liberi di nuovo?